Le opere di Pinuccio Sciola (San Sperate, CA, 1942 - Cagliari, 2016) si contraddistinguono all’interno del panorama artistico contemporaneo grazie al loro fascino monolitico, imperturbabile. Ispirate dal megalitismo originario della sua terra - la Sardegna - le sculture si arricchiscono dell’esperienza e dell'estetica primitiva durante alcuni significativi viaggi in Africa e in America Centrale. Luoghi, questi, che hanno permesso a Sciola di concepire i suoi giganti di pietra attraverso la riscoperta dell’ "espressione primigenia". Ciò che emerge, infatti, a partire dalla fruizione delle sue opere, è il rapporto diretto con la materia che, plasmata, modellata e ordinata direttamente dalla mani dell’artista, si mette a servizio dell’essere umano, facendosi humus, natura generativa, all’interno della quale sembra possibile imprimere e leggere memorie primordiali, archetipiche, universali.
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Le sculture, caratterizzate da trame, scacchiere, meridiane e parallele, si presentano all'occhio di chi le osserva come frutto di un processo naturale di corrosione, scalfite dall'intervento degli elementi naturali stessi: la forza del vento, le insenature delle terra, le correnti d'acqua, altro non sono però che il prodotto della mano dell’artista, padre creatore indiscusso dell’opera. La loro restituzione formale si pone a metà strada tra la mera statuaria astratta e l’architettura contemporanea minimalista, in quanto il contrasto armonioso di pieni e vuoti, sebbene sempre caratterizzato da una matrice squisitamente geometrica, emerge sull'immensità della superficie con irregolare naturalezza e libertà. Il ritmo primordiale delle opere viene dunque definito dall'artista attraverso precise fenditure e insenature: i disegni astratti che ne derivano sembrano quasi invitare chi le osserva ad una scoperta sensoriale volta alla percezione tattile, come se, attraverso la semplice esplorazione diretta dei pieni e dei vuoti, fosse possibile dare vita a sinfonie e melodie imprigionate nella materia da tempi immemorabili. L’armonia musicale si fonde così con il paesaggio circostante, finalmente liberata nell’aria come le dolci note di un antico carillon.